martedì 20 dicembre 2011

Io Odio il Natale, Giorno 2: La Rapina.

Ciao Tu!

Ecco a te il secondo racconto di Natale della settimana, come promesso.

E' una storia tratta dal libro "Black Christmas 2.0" di Antonio Barocci, che ho letto ieri sera e che mi ha fatto scendere una lacrimuccia amara.

"E a me che cazzo me ne frega?" dirai te.

Boh, saran pure cazzi miei, c'hai ragione, però se ha fatto piangiucchiare me non vedo perchè non debba far piangiucchiare anche te.

Buona lettura.

Una bloggher della Mutua.





La Rapina

IL RICAVATO DELL’ATTIVITA’ ILLECITA SERVIVA A PREPARARE TUTTO IL NECESSARIO PER LE FESTE DI NATALE.

Adnkronos, 15 dicembre 2006

“Zitto, e basta, le pistole si portano” disse cattivo Wainer. Occhi neri, faccia da Apache. Davis, come la coppa del tennis, e Stefano si guardavano negli occhi, Elvis al volante fissava il vuoto davanti a lui. Nessuno disse bà. Comandava lui. E basta.
Strinse il ferro con tutta la forza che aveva, se lo mise nella tasca del giubbotto e scese dalla macchina di botto, seguito dagli altri. A volto scoperto. Entrò dalle porte girevoli, ma quando si trovò dentro al cilindro alla Star Trek della banca, quello si mise a suonare. Uscì, fece finta di andar a mettere delle cose nella cassetta di sicurezza all’ingresso, sulla destra. Si rimise dentro al fuso a due porte e quello suonò ancora, per forza. Dalla banca lo guardavano e Wainer alzò le mani, sorridendo mostrò la chiavetta della cassetta di sicurezza numero 9. E quelli ci cascarono. Davis e Stefano stavano fuori ad aspettare, cagandosi sotto. In macchina con il motore acceso Elvis. Wainer entrò di volata, tirò fuori il passamontagna e in un baleno, se lo calò in testa. La postola già in mano, si mise a urlare “fermi tutti altrimenti vi stendo”.
Col ferro tirò una legna in faccia al cliente ciccione alla cassa 1, poi puntò la pistola in fronte al cassiere, giovane pischello appena laureato in statistica paralizzato dalla paura. “Tieni aperte le porte”, ma quello titubava, “Dai dai” gli urlò in faccia mettendogli la canna della Beretta quasi in bocca. E quello alla fine eseguì.
Wainer Bazzocchi, 30 anni, passati male. Il babbo disoccupato e alcolizzato. La mamma viveva di rabbia e sofferenza. Botte ovunque, come gatti randagi.
Nella sua vita lavori tanti, fatica a tratti, ma testa per starci dentro poca. Da un posto all’altro, da un lavoro in nero a un altro, soprattutto al porto, dove passava di tutto. Le specialità di Wainer erano caccia, pesca e furtarelli. Per tirare su un po’ di grano e un grammo di coca con gli amici. Qualche pestata. Soldi da incassare. Ma ora era nata Giorgia, la bimba. E il mutuo per la casa a Lido di Dante che l’avevano dato a Silvia perché lei lavorava da anni come commessa al centro commerciale a Ravenna, sulla statale Adriatica.
E l’avevano fottuto. Nella vita c’era altro che la vita del cazzo che viveva. Ne era convinto. Come era possibile non poter avere intestata una casa, non avere una macchina bella, non fare un aperitivo come si deve e spendere quello che cera da spendere. Di andarsene a fare le notti con gli amici e che si finisse pure a Fusignano al Tucson Saloon a spilare i pezzi da dieci e metterli nelle mutandine delle ragazze ucraine, moldave, albanesi, che avevano certe tettine che sono uno spettacolo, che dopo che gli avevi infilato la marchetta nel tanga ti mettevano il culo in faccia e potevi sentire l’odore acre e dolce delle loro pelli lavate con il detersivo intimo del discount. E farsi fuori una bottiglia di Jack Daniels e zero problemi.
Wainer mise una busta di plastica sul banco: “Riempi, coglione”. Stava per aggiungere “o ti ammazzo”, ma sentiva che sapeva tutto troppo di cinema e lasciò perdere.
Quello riempì, gli altri a guardare.
Entrò Davis, con già calato il passamontagna. Sulla porta rimase Stefano.
Davis allungò un’altra busta in plastica alla fighetta, tirata come la coda di un topo, della cassa 2. “Metti i soldi dentro alla sportina”.
Wainer passò alla cassa 3 e anche il sudatissimo, ormai mezzo morto, cassiere spazzolò il suo cassettino e mise dentro.
Il direttore, stempiatura da banca, giacca e cravatta in stile, canottiera della salute infilata dalla mamma a due anni e mai più tolta, non uscì neanche dall’ufficio, anzi da sotto la scrivania, ma mandò la comunicazione della rapina in corso ai Carabinieri.
Neanche cinque minuti e i tre erano fuori, e allora via che era una bellezza, l’adrenalina a mille e loro che saltarono in macchina, sgommando filarono verso le valli.
Quattro spiantati che una volta fatti grandi si erano accorti che bisognava darsi da fare oltre che scolare Campari.
Al bar avevano deciso per la rapina ad Alfonsine. Caratteristica principale della zona, oltre la nebbia anche ad agosto e le zanzare, era una casa del popolo grande come il Cremlino e i quadri di Stalin giganti, ancora nelle cantine ad uso tavernetta per le cene fra vecchi militanti. L’idea era stata di Stefano. “Così abbiamo i soldi per le feste e non facciamo figuracce”, buttò là. Wainer raccolse alla grande. Gli sembrò subito un’idea brillante. Davis, anche se titubante era salito sul carro, come Elvis, completamente plagiato dagli altri. Un colpo facile, come altre cosucce che ogni tanto combinavano. Pensavano che la via di fuga verso le valli di Comacchio fosse una certezza. E poi Alfonsine era un bel centro, ricco, con una banca proprio sulla strada statale Reale. Comoda per un mordi e fuggi, ideale il venerdì alle 11, con già i cassetti pieni di banconote da 50 euro.
E questo era solo l’inizio. Se il colpo andava bene potevano continuare e portarsi a casa un bel po’ di soldi. Giusto per sistemarsi un attimo. Senza esagerare. N altro paio di colpi e finire lì. Senza farsi prendere troppo la mano altrimenti, si sa, finisce male.
I carabinieri stavano ancora al bar a prendere il caffè, in piazza faceva un freddo quella mattina. Aspettavano ce arrivasse mezzogiorno per ridursi in caserma e mangiare. Voglia di mettersi a fare i Carabinieri neanche l’ombra.
Mimmo che era brigadiere aveva 30 anni e due maroni così per la purgata che in natale alle porte comportava: due figlie, Gaia e Martina. Siciliano, di Gioiosa Marea. La perla del Tirreno, provincia di Messina.
Finito nella bassa ravennate per ordine di servizio aveva cercato di ricavarne il meglio. Rogne poche, vita comoda. Una bella moglie romagnola bollata quando stava di stanza a Lugo. Ora vivevano a San Pancrazio, due passi da Russi, a ridosso di Ravenna. Un posto come un altro. Per Mimmo, tutto andava bene purché non gli rompessero i coglioni, e il Natale glieli scassava che era un martello pneumatico. I parenti di lei in primis, sempre addosso come una toma per somari, ma soprattutto i suoi di parenti. Da Gioiosa Marea con furore. La mamma, amatissima, affettuosissima, ma scassa cazzi come poche entità nell’universo. Il babbo, Paolo, ex consigliere missino, uomo saggio e di rare parole. Signorile e baritonale. Un vero galantuomo del sud che ogni volta che si trovava a San Pancrazio non si capacitava che esistesse gente che avesse potuto scegliere scientemente, parole sue, di vivere in un posto di minchia come questo. Più pesante di un camion pieno di sassi.
L’altro Carabiniere, in servizio quella mattina, era Antonio, di Latina. Un pischello di 23 anni, nell’Arma da tre. Una pacchia. Soldi in tasca da sempre, amici dappertutto, entrate gratis in discoteca, allo stadio. Si sentiva come il biondo di Starsky ed Hutch. Bello, figo e cazzarrone. Abitava a Glorie di Mezzano, due passi da Alfonsine. In fondo Latina era peggio, tranne il clima.
Arrivata la chiamata a razzo sulla Reale. Finalmente, Antonio si rompeva le pale ad andare sempre piano in servizio e fare le solite minchiate da Carabiniere tipo i verbali, le ronde, i sopralluoghi gli incidenti e le liti… E allora giù come un matto.
Dovevano prendere una Alfa 155 rossa metallizzata. Mimmo pensò che andare a fare una rapina con una macchina rossa fosse da coglioni. Antonio si esaltava alla guida.
La coglionata formato gigante la fecero i rapinatori, Wainer, Elvis, Davis e Stefano. Prendere la strada per le valli andava bene, ma poi sarebbe stato meglio abbandonare la macchina e disperdersi con altri mezzi fra i mille rivoli e canali. Stare su una strada con pochi sbocchi fra i campi, laguna e vasche per le anguille era stato un errore di valutazione che dava la misura del dilettantismo. Dopo pochi chilometri, per quanto andassero a schioppa, si trovarono un posto di blocco in mezzo alla strada. Elvis sgommando e bestemmiando girò la 155 in testa coda e via di nuovo da dove erano venuti. Ma da dove erano venuti c’erano altre tre macchine dei Caramba a dargli dietro. In testa la volante guidata da Antonio che, come vide l’Alfa 155 arrivare in fondo al curvone, manovrò con il freno a mano per mettere la Punto di servizio di traverso con dietro i colleghi a inchiodare per non travolgerli.
Mimmo smadonnò in siculo, incazzato perché quanto lo faceva incazzare Antonio che si metteva a fare il Tomas Milian di Roma a mano armata: “Suca minchia ma dove corri, vuoi arrivare primo?”. Gli urlava rabbioso. “Fottiti Tonì” e via di questo passo, mentre uscivano dalla macchina con le pistole in mano. Le due macchine dei colleghi si misero di fianco chiudendo la strada. Tutti con il cannone puntato sull’Alfa che arrivava a mille.
Elvis al volante non sapeva più che cazzo fare. Pensava a una sola cosa: siamo fottuti. Davis e Stefano non pervenuti. Wainer non avrebbe mai mollato. Non voleva essere un perdente, anche se la vita l’aveva messo dalla parte sbagliata dello spazzolone del cesso: quella che scrosta la merda dal water.
Elvis frenò di botto e dopo che le ruote ciularono per una decina di metri, lasciano il segnone per terra la macchina si fermò a cento metri dai Caramba. A quel punto scesero tutti per darsi. I Carabinieri si misero a urlare: “Fermi o spariamo”. Mentre dall’altra parte arrivavano i colleghi di Comacchio. Ma la banda di balordi via verso un frammento di pineta al di là del canale di scolo, con un duecento metri di scoperto di un vasto campo stepposo.
Mimmo già con i coglioni fumanti sparò in aria urlando: “Stronzi figli di buttana fermatevi o v’ammazzo”. Ma quelli col piffero. Mimmo allora gli sparò per davvero. Wainer che urlava mentre andava come una saetta: “Sparano solo in aria solo in aria, via via che non ci prendono sono solo delle merde solo merda”.
Antonio corse fino al ciglio della strada, si fermò con il ginocchio a terra. PAM. Già come un birillo Stefano, che si mise a urlare come un pazzo mentre ruzzolava e si teneva la gamba con delle bestemmie da tirare giù il cielo.
Figuriamoci Davis e Elvis. Si fermarono pietrificati e con le mani su. Mimmo arrivò al fianco di Antonio: “Ora tienili sotto tiro” e gridò: “Suca minchia del cazzo su le mani figli di buttana”. Gli altri Carabinieri, armi in pugno, si stavano avvicinando lentamente.
Wainer dava ancora le spalle ai Caramba, ma si era fermato anche lui. Vide con la coda dell’occhio Elvis, che stava a un passo dietro lui, fermo con le mani alzate. Cominciò a girare e di trequarti sbirciò Davis con le mani alzate mentre da dietro gli arrivavano gli urli e le madonne in dialetto di Stefano. Davis aveva capito tutto: “E’ finita Wainer”. Ringhiava quasi. “Molla Wainer, molla non fare il patacca”. E giù in dialetto una bestemmia fra i denti: “Ci ammazzano come dei maiali, non fare il pistolero”.
Wainer mentre completava il giro strinse il ferro che quasi le nocche divennero bianche.
Una canzone per te … Non te l’aspettavi eh!, e invece eccola qua …
Mimmo senza esitare esplose un colpo verso Wainer. PAM. Fuori bersaglio. Antonio rimase un attimo esitante il tempo di far prendere la mira a Wainer, ora completamente girato, e con il braccio teso.
Sorridi e abbassi gli occhi un istante e dici: “non credo di essere così importante” ma dici una bugia e infatti scappi via …
PAM PAM PAM. Mimmo viene giù, ribaltato all’indietro, secco con un buco alla gola. La carotide recisa buttò fuori fiotti di sangue mentre le gambe si muovevano a scosse. I colleghi si buttarono a terra terrorizzati. Davis idem. PAM PAM PAM PAM PAM PAM PAM. Una gragnuola di colpi di Antonio.
Non aveva i soldi per il regalo di Natale per Silvia, per la piccola Giorgia. Voleva che sua figlia avesse tutto quello che lui non aveva avuto, a cominciare dalla sua cameretta, come tutti gli altri bambini. Voleva portare Silvia a cena fuori, in un posto come si deve. Una serata come doveva sempre essere. Il grano per un anello di brillanti e una macchina nuova. Basta girare con la Uno Sting che ormai neanche più i senegalesi. Che cosa pensava la sua Giorgia di suo padre?
Nelle orecchie insieme al sangue, sugli occhi che colava, aveva, per un istante, un breve istante, il suo ultimo istante di vita, la loro canzone d’amore, sua e di Silvia.
Ma le canzoni
                               Son come i fiori
                                                               Nascon da sole
                                                                                              E son come i sogni

E a noi non resta
                               Che scriverle in fretta
                                                                       Perché poi svaniscono
                                                                                                            E non si ricordano più.

Io Odio Il Natale, The Beginning: Natale al Vetriolo

Ciao Tu!

Secondo post sul blog, OGGI ME VOGLIO ROVINA’ SIGNORA MIA!

Scherzi a parte, oggi sono particolarmente in vena di scrivere, e penso di aver sbollito l’ira invereconda che mi ha assalita ieri.




Spiego: già a 35 giorni dalla Data X, a me cominciano già a girare i coglioni.

Perché? PERCHé IO ODIO IL NATALE.

Lo odio da tempo immemore, ancor prima che mi venisse proibito l’acquisto del calendario dell’Avvento.


So che non lo avreste mai sospettato, ma io sono un cazzo di Grinch: tutto ciò che porta scritte festose, tutto ciò che è decorato con stucchevoli angioletti tarocco Thun, tutto ciò che è rosso coca cola, verde abete, bianco sbo… neve, e tutto ciò che sbrilluccica come il nasino rosso di Rudolph mi da degli inverosimili conati di vomito e relative fitte allo stomaco.

È così da quando ero piccola, c’è poco da fare.



Trovo una gran rottura di cazzo il TUTTO, è una cosa generica, non c’è qualcosa che io odi più di qualcos’altro.
No, forse sì, però non ne sono certa.



Partiamo dalle cose base: la prima settimana di Avvento.



E’ da agosto inoltrato che sfracello la minchia a mia madre con sti cazzo di regali (sì, in questo post sarò più principessa del solito perché l’argomento mi manda in bestia.), perché non è mia intenzione spendere un patrimonio per delle persone che si ricordano della mia esistenza solo a Natale.



Finalmente mia madre si decide.
Stiliamo la lista delle persone soggette alla nostra attenzione natalizia e cominciamo a buttar giù qualche idea: la nebbia in Val Padana ci fa una pippa.



Superato l’annoso ostacolo, se ne presenta un altro: “è sabato, c’è da andare a far la spesa!”.
Porca merda.



Se c’è una cosa che odio quasi quanto il Natale, quella è andare a far la spesa di sabato pomeriggio.
La sagra del rincoglionito.
Il festival del neurone.
Il ritrovo settimanale dei “noiononusodeodorantiperchèaumentanoilbucodell’ozonochenonsoneanchechecos’èperòlodicoperchèfafigoeperchèsonsicurocheusandolocontribuiscoafarmorirelamammadibambiepoistamattinamisondimenticatodirinfrescarmileascelle”.
La Woodstock del bambino urlante.
Il concertone del 1 maggio all’Esselunga delle casalinghe che non sanno guidare manco il carrello, figuriamoci il suv che hanno nel parcheggio.
Giuro, prima o poi entrerò nel supermercato armata come Breivik e farò tipo una strage.



Sono sempre più tentata di tirare un petardo (o un lanciafiamme acceso) contro gli allarmi Sprinkler presenti nello store e far fuggire tutti nel panico.



Comunque, ieri si è realizzato il combo letale: NATALE + SPESA AL SABATO POMERIGGIO.
Ho cercato di boicottare la cosa cercando di ingerire del cianuro, ma mia madre mi ha scoperta e trascinata fuori dal bagno.



Prima tappa, la Tigros: un supermercato piccino, discreto, con musichina simpatica nell’aerodiffusione, non troppo caro, con buona carne, e sti cazzo di cesti natalizi.



Mia madre è fissata con sti “cosi”: ogni anno ne prenderà una dozzina.
Ma a me stanno così altamente sulle palle…
Vabè, ne prende una roba tipo 6, ci mettiamo anche relativamente poco.
Dentro di me penso “se po’ ffà!”



“Ok, ora che abbiamo preso i pacchi possiamo andare all’Esselunga  a far la spesa, così magari intanto guardiamo e forse ci viene qualche idea per quelli che mancano…”
No.
NO.
Stupida genitrice.

Sono le 5 e mezzo di sabato pomeriggio, E TU VUOI ANDARE ALL’ESSELUNGA?!
Non sono più un’infante, se vuoi suicidarti puoi farlo anche da sola.
Piuttosto che andare, cerco di correre incontro a un tir IVECO sulla Varesina, ma vengo riacchiappata per la collottola e ricacciata in macchina verso l’Inferno.



Infatti, come volevasi dimostrare, già il parcheggio sembra l’atrio della porta degli Inferi: ci fosse MEZZO UMANO che parcheggia dritto, MEZZO UMANO che riesca a pilotare un carrello in maniera decente (non ti chiedo di essere Schumacher delle 4 ruote semovibili commerciali per eccellenza), MEZZO UMANO CHE NON CAMMINI IN MEZZO AL PARCHEGGIO CREDENDO DI ESSERE MADONNA NEL VIDEO “LOVE PROFUSION”.
Vacca malora.



Troviamo parcheggio a casa di Dio, del tipo che facevamo prima a parcheggiare a casa e andare in là a piedi, e entriamo nell’Esselunga.
Come volevasi dimostrare, dentro è una BOLGIA.



Cerco di buttarmi sulla traiettoria del marumba che mette a posto i carrelli per cercare di fare una fine dignitosa, ma ancora una volta Genitrice mi acchiappa per la maglietta e mi mette alla guida del Mezzo di Locomozione per Spesa ,in punizione.



Come ben sapete, la mia soglia di pazienza e sopportazione è ben più bassa del normale.
Dopo 3 secondi volevo esplodere.
Tralasciando il fatto che sembrava una riunione della bocciofila, ho seriamente pensato che, nel reparto geriatria, concedessero ancora l’ora d’aria




.
Una sfilata di mummie che metà bastano che, naturalmente, il carrello non lo san mica guidare, perché “nel ’32 non c’erano mica, noi portavamo la spesa a mano!”.



Ecco, brava Nonna Abelarda, te porta la spesa a mano che io ruzzo via col mio bel carrellino.
Cerco di procedere nella calca dei sopravvissuti del Titanic: vacca malora, ce ne fosse UNO che non mi abbia tirato gomitate/spintoni/spallate/abbia cercato di spingermi il carrello su per il culo.



We, non giovani, non siamo a un concerto metal e nessuno sta pogando, quindi vedete di finirla o vi faccio sospendere “Medicina 33”.



Finito il reparto ortofrutta/freschi, parte il delirio vero e proprio.



In settimana, la corsia meno caotica è quella dei pannolini/vestitini/tutine/giochini/biberon/ciuccetti etc, dove puoi metterti tranquilla a spuntare la lista della spesa, a rispondere agli sms, a farti i film sul cassiere figo, a fare le puzze, che tanto non ci sarà MAI nessuno che verrà a scassarti le palle.
Il sabato, quella corsia è il FULCRO DEL CAOS, IL NUCLEO DI PURA MALVAGITA’ DELL’UNIVERSO.



Bambini che rognano URLANDO perché vogliono quel gioco.
Bambini che piangono URLANDO perché vogliono quel gioco.
Bambini che rognano piangendo e URLANDO perché vogliono quel gioco.
Bambini che, mentre il fratello rogna perché vuole un gioco, PIANGONO perché la mamma non li caga.
Mamme che URLANO sopra ai figli per farsi sentire mentre li rimprovera ma nessuno le caga.

Il DELIRIO.





La riproduzione reale del quadro “Der Schrei” di Munch.



Ok, non che le altre corsie sian diverse eh, però almeno la fauna cambia:
Le mogli che cazziano i mariti perché son sempre attaccati al carrello e, nonostante la lista in mano, non combinano una bega.
I mariti che si muovono, con la lista in mano, per prendere le cose, ma che poi vengono cazziati dalla moglie perché hanno preso la cosa sbagliata , e quindi vengono intimati di rimanere di guardia al carrello perché “non capisci mai un cazzo di quello che ti dico”.
Le mamme che cazziano i figli un po’ più grandi perché, “al posto di far scherzi cretini a tuo fratello, potresti anche darmi una mano”.
I fratelli più grandi che fanno ribaltare i fratelli più piccoli sulle piramidi di barattoli di Nutella (distruggendoli) perché si annoiano e vogliono vendicarsi della mamma che li cazzia.
Le vicine di casa che non si vedono da 40 minuti e devono raccontarsi le novità.
Subito.
In mezzo alla corsia dell’olio e del tonno, che è sempre la più affollata.
(Andare fra i biberon no eh?)

La donna in carriera che parla da sola ma in realtà ha l’auricolare, che è appena uscita da una riunione importante perché “lei deve fare affari in India” e perché “senza di lei il mercato dell’azienda non va avanti” che non sa neanche lei che cazzo sta cercando perché di solito al supermercato ci va la colf.
E poi, dulcis in fundo, la tipa dell’accoglienza che parla all’interfono.
Quella cazzo di voce così simile al suono delle unghie sulla lavagna, manco modificando una voce umana con i programmi di montaggio si può arrivare a livelli simili di stridore.
Ma una roba indicibile, di quelle voci che rompono i Bormioli nel reparto casalinghi, che fanno impazzire i cani nel parcheggio come la traccia bonus alla fine di “A day in the Life”.
Che poi, io una volta sta tipa l’ho vista: è uguale a Maga Magò.



Andando avanti, si prospettano davanti a noi millemila regali inutili, di dubbio gusto e utilità.
Che poi, mia madre si fissa che “bisogna prendere il regalo bello per tutti, ma senza spendere eccessivamente”.
Ma porca troia, ma se metà di quella gente, durante l’anno, manco ti parla!
Ci stiamo sul culo tutti, a vicenda.
E lo sappiamo.
L’anno scorso, per regalo, hai ricevuto UNA PREGHIERA.
Sì, UNA PREGHIERA.
Sticazzi, quest’anno, per dispetto, credo che mi metterò a recitare la Torah al momento dello scambio dei regali.
O mi legherò un giubbotto imbottito di tritolo attorno alla vita e comincerò a citare il Corano chiudendo con un “Allah Akbar”, tanto è tipo lo stesso.



Ora, colgo l’occasione per ricordare ai miei parenti che io LI ODIO TUTTI.
ODIO le vostre cazzo di fisse di uscire a mangiare ogni cazzo di volta che ci vediamo (checché se ne voglia dire, io ODIO mangiare), ODIO uscire a mangiare al ristorante, ODIO che qualcuno che non conosco mi prepari il cibo, ODIO sedermi alle 2 e alzarmi alle 8, ODIO non potermi muovere dalla sedia perché puntualmente finisco nell’angolo inculato del tavolo e da lì non esco finchè non si alzano tutti, ODIO che tutti mi chiedano “Tata, sei stanca? Tata, ti annoi? Tata, perché non mangi? Tata, perché non ridi? Tata, perché cerchi di gambizzarti con il coltello del burro?”.
FATTI DELLE DOMANDE, PORCA MALORA.




Odio i parenti che urlano, sbraitano, sputano quando parlano, che cercano di fare i fighi inutilmente, che fanno i superiori “perché io domani parto e vado a *****/sono appena tornato da *******”, perché non ce ne frega un beneamato cazzo.
Sono una di quelle che NON PARLA se non interpellata.
Sono una di quelle alle quali le parole bisogna cavarle con le pinze.
E vado bene così, perché è l’unico modo che ho di sopravvivere a questi 3 giorni d’inferno, fingere di essere uno zombie.



Al massimo aiuto mia nonna a sbaraccare la tavola, che in cucina, parlando in milanese stretto, riusciamo a sfogarci.
Fortunatamente, negli ultimi anni il momento “Tombola” è stato sostituito da “fai ancora le coccole alla Miky perché è l’unico modo per non farti chiedere per l’ennesima volta quando ti sposi, quando figlierai, come sta il fidanzato, come va la scuola, perché non sei andata all’università, perché non sei già incinta”.



A Natale MI SPENGO.
Il mal di testa mi parte il 24 e mi finisce il 27.
Chiedo la soppressione immediata del Natale.
Causa? Oltre a tutto questo (che non è poco), ricevo sempre dei regali di merda.



Partendo dalla confezione (ok, non sono un mago della carta da pacchi, ma se non li fai fare datti all’ippica col cavallo a dondolo e lascia fare a chi è capace. O compra i sacchettini.), finendo col contenuto.
La mancanza di buon gusto è sempre un’incognita da non sottovalutare fra i parenti, certo.
Ma io ormai ho LA CERTEZZA assoluta che, salvo alcuni soggetti, NON SI SALVA NESSUNO.



Da un paio di anni a questa parte, faccio pervenire alle orecchie delle nonne i miei sogni e le mie speranze (che quest’anno hanno un nome e un numero di serie), così che dicano ai parenti “no, mi ha detto che vuole questo, se le dai la busta forse è meglio”.



Dio, sante nonne.
Mi fate quasi dire “il Natale non fa così cagare se ci siete voi”.
No, non è vero, il Natale fa cagare sempre.
Dai depliant con le promozioni di pandori/panettoni/torroni di sorta ai nastri colorati per i pacchetti, affilati come rasoi.
E non è neanche vero che la gente diventa più buona.



Provate a farvi un giro all’Esselunga alla Vigilia di Natale alla ricerca di un panettone: vi staccheranno un braccio a morsi e vi tamponeranno furiosamente l’auto prima che riusciate a uscire dall’abitacolo, nel parcheggio.




A domani con un'altra "favola della buonanotte" natalizia :)

Una blogger della Mutua.

lunedì 19 dicembre 2011

6 days to Xmas!

Ciao Tu!

Rieccomi, in piena crisi natalizia, a scrivere sul blog :)

In un rarissimo momento di intelligenza allegra (leggesi: in questo periodo sono il Grinch in persona, ma sotto l'effetto dell'alcool divento simpatica anche io) ho avuto la brillante idea di postare, per ognuna delle sere prima del Natale, una storiella, un racconto, un'esperienza legata a questo nefasto giorno.

Nefasto? direte voi.

Minchiasì, rispondo io.

Tanto che, per fare una robina decente, ho deciso di armarmi di Spirito (non Santo e non del Natale), ghiaccio (e non neve), e cuffie (non paraorecchi a forma di renna) per creare questa nuova serie di blog, spero divertenti e che possano far riflettere un pochino su come mi sento in questo periodo dell'anno.

Avviso già che il primo è decisamente lungo, vi impiegherà un po' di tempo, ma vi giuro che fa straridere (o meglio, fa ridere me, che non è facile...), e se volete leggerlo, oltre a essere dei gran coraggiosi, sappiate che vi stimo tantissimo.

Bando alle ciance, comincio a lavorare al primo post...

E vi lascio all'ommagine della mia attuale situazione di blogger.



Party hard proprio.

A fra poco!

Una blogger della mutua.