martedì 20 dicembre 2011

Io Odio il Natale, Giorno 2: La Rapina.

Ciao Tu!

Ecco a te il secondo racconto di Natale della settimana, come promesso.

E' una storia tratta dal libro "Black Christmas 2.0" di Antonio Barocci, che ho letto ieri sera e che mi ha fatto scendere una lacrimuccia amara.

"E a me che cazzo me ne frega?" dirai te.

Boh, saran pure cazzi miei, c'hai ragione, però se ha fatto piangiucchiare me non vedo perchè non debba far piangiucchiare anche te.

Buona lettura.

Una bloggher della Mutua.





La Rapina

IL RICAVATO DELL’ATTIVITA’ ILLECITA SERVIVA A PREPARARE TUTTO IL NECESSARIO PER LE FESTE DI NATALE.

Adnkronos, 15 dicembre 2006

“Zitto, e basta, le pistole si portano” disse cattivo Wainer. Occhi neri, faccia da Apache. Davis, come la coppa del tennis, e Stefano si guardavano negli occhi, Elvis al volante fissava il vuoto davanti a lui. Nessuno disse bà. Comandava lui. E basta.
Strinse il ferro con tutta la forza che aveva, se lo mise nella tasca del giubbotto e scese dalla macchina di botto, seguito dagli altri. A volto scoperto. Entrò dalle porte girevoli, ma quando si trovò dentro al cilindro alla Star Trek della banca, quello si mise a suonare. Uscì, fece finta di andar a mettere delle cose nella cassetta di sicurezza all’ingresso, sulla destra. Si rimise dentro al fuso a due porte e quello suonò ancora, per forza. Dalla banca lo guardavano e Wainer alzò le mani, sorridendo mostrò la chiavetta della cassetta di sicurezza numero 9. E quelli ci cascarono. Davis e Stefano stavano fuori ad aspettare, cagandosi sotto. In macchina con il motore acceso Elvis. Wainer entrò di volata, tirò fuori il passamontagna e in un baleno, se lo calò in testa. La postola già in mano, si mise a urlare “fermi tutti altrimenti vi stendo”.
Col ferro tirò una legna in faccia al cliente ciccione alla cassa 1, poi puntò la pistola in fronte al cassiere, giovane pischello appena laureato in statistica paralizzato dalla paura. “Tieni aperte le porte”, ma quello titubava, “Dai dai” gli urlò in faccia mettendogli la canna della Beretta quasi in bocca. E quello alla fine eseguì.
Wainer Bazzocchi, 30 anni, passati male. Il babbo disoccupato e alcolizzato. La mamma viveva di rabbia e sofferenza. Botte ovunque, come gatti randagi.
Nella sua vita lavori tanti, fatica a tratti, ma testa per starci dentro poca. Da un posto all’altro, da un lavoro in nero a un altro, soprattutto al porto, dove passava di tutto. Le specialità di Wainer erano caccia, pesca e furtarelli. Per tirare su un po’ di grano e un grammo di coca con gli amici. Qualche pestata. Soldi da incassare. Ma ora era nata Giorgia, la bimba. E il mutuo per la casa a Lido di Dante che l’avevano dato a Silvia perché lei lavorava da anni come commessa al centro commerciale a Ravenna, sulla statale Adriatica.
E l’avevano fottuto. Nella vita c’era altro che la vita del cazzo che viveva. Ne era convinto. Come era possibile non poter avere intestata una casa, non avere una macchina bella, non fare un aperitivo come si deve e spendere quello che cera da spendere. Di andarsene a fare le notti con gli amici e che si finisse pure a Fusignano al Tucson Saloon a spilare i pezzi da dieci e metterli nelle mutandine delle ragazze ucraine, moldave, albanesi, che avevano certe tettine che sono uno spettacolo, che dopo che gli avevi infilato la marchetta nel tanga ti mettevano il culo in faccia e potevi sentire l’odore acre e dolce delle loro pelli lavate con il detersivo intimo del discount. E farsi fuori una bottiglia di Jack Daniels e zero problemi.
Wainer mise una busta di plastica sul banco: “Riempi, coglione”. Stava per aggiungere “o ti ammazzo”, ma sentiva che sapeva tutto troppo di cinema e lasciò perdere.
Quello riempì, gli altri a guardare.
Entrò Davis, con già calato il passamontagna. Sulla porta rimase Stefano.
Davis allungò un’altra busta in plastica alla fighetta, tirata come la coda di un topo, della cassa 2. “Metti i soldi dentro alla sportina”.
Wainer passò alla cassa 3 e anche il sudatissimo, ormai mezzo morto, cassiere spazzolò il suo cassettino e mise dentro.
Il direttore, stempiatura da banca, giacca e cravatta in stile, canottiera della salute infilata dalla mamma a due anni e mai più tolta, non uscì neanche dall’ufficio, anzi da sotto la scrivania, ma mandò la comunicazione della rapina in corso ai Carabinieri.
Neanche cinque minuti e i tre erano fuori, e allora via che era una bellezza, l’adrenalina a mille e loro che saltarono in macchina, sgommando filarono verso le valli.
Quattro spiantati che una volta fatti grandi si erano accorti che bisognava darsi da fare oltre che scolare Campari.
Al bar avevano deciso per la rapina ad Alfonsine. Caratteristica principale della zona, oltre la nebbia anche ad agosto e le zanzare, era una casa del popolo grande come il Cremlino e i quadri di Stalin giganti, ancora nelle cantine ad uso tavernetta per le cene fra vecchi militanti. L’idea era stata di Stefano. “Così abbiamo i soldi per le feste e non facciamo figuracce”, buttò là. Wainer raccolse alla grande. Gli sembrò subito un’idea brillante. Davis, anche se titubante era salito sul carro, come Elvis, completamente plagiato dagli altri. Un colpo facile, come altre cosucce che ogni tanto combinavano. Pensavano che la via di fuga verso le valli di Comacchio fosse una certezza. E poi Alfonsine era un bel centro, ricco, con una banca proprio sulla strada statale Reale. Comoda per un mordi e fuggi, ideale il venerdì alle 11, con già i cassetti pieni di banconote da 50 euro.
E questo era solo l’inizio. Se il colpo andava bene potevano continuare e portarsi a casa un bel po’ di soldi. Giusto per sistemarsi un attimo. Senza esagerare. N altro paio di colpi e finire lì. Senza farsi prendere troppo la mano altrimenti, si sa, finisce male.
I carabinieri stavano ancora al bar a prendere il caffè, in piazza faceva un freddo quella mattina. Aspettavano ce arrivasse mezzogiorno per ridursi in caserma e mangiare. Voglia di mettersi a fare i Carabinieri neanche l’ombra.
Mimmo che era brigadiere aveva 30 anni e due maroni così per la purgata che in natale alle porte comportava: due figlie, Gaia e Martina. Siciliano, di Gioiosa Marea. La perla del Tirreno, provincia di Messina.
Finito nella bassa ravennate per ordine di servizio aveva cercato di ricavarne il meglio. Rogne poche, vita comoda. Una bella moglie romagnola bollata quando stava di stanza a Lugo. Ora vivevano a San Pancrazio, due passi da Russi, a ridosso di Ravenna. Un posto come un altro. Per Mimmo, tutto andava bene purché non gli rompessero i coglioni, e il Natale glieli scassava che era un martello pneumatico. I parenti di lei in primis, sempre addosso come una toma per somari, ma soprattutto i suoi di parenti. Da Gioiosa Marea con furore. La mamma, amatissima, affettuosissima, ma scassa cazzi come poche entità nell’universo. Il babbo, Paolo, ex consigliere missino, uomo saggio e di rare parole. Signorile e baritonale. Un vero galantuomo del sud che ogni volta che si trovava a San Pancrazio non si capacitava che esistesse gente che avesse potuto scegliere scientemente, parole sue, di vivere in un posto di minchia come questo. Più pesante di un camion pieno di sassi.
L’altro Carabiniere, in servizio quella mattina, era Antonio, di Latina. Un pischello di 23 anni, nell’Arma da tre. Una pacchia. Soldi in tasca da sempre, amici dappertutto, entrate gratis in discoteca, allo stadio. Si sentiva come il biondo di Starsky ed Hutch. Bello, figo e cazzarrone. Abitava a Glorie di Mezzano, due passi da Alfonsine. In fondo Latina era peggio, tranne il clima.
Arrivata la chiamata a razzo sulla Reale. Finalmente, Antonio si rompeva le pale ad andare sempre piano in servizio e fare le solite minchiate da Carabiniere tipo i verbali, le ronde, i sopralluoghi gli incidenti e le liti… E allora giù come un matto.
Dovevano prendere una Alfa 155 rossa metallizzata. Mimmo pensò che andare a fare una rapina con una macchina rossa fosse da coglioni. Antonio si esaltava alla guida.
La coglionata formato gigante la fecero i rapinatori, Wainer, Elvis, Davis e Stefano. Prendere la strada per le valli andava bene, ma poi sarebbe stato meglio abbandonare la macchina e disperdersi con altri mezzi fra i mille rivoli e canali. Stare su una strada con pochi sbocchi fra i campi, laguna e vasche per le anguille era stato un errore di valutazione che dava la misura del dilettantismo. Dopo pochi chilometri, per quanto andassero a schioppa, si trovarono un posto di blocco in mezzo alla strada. Elvis sgommando e bestemmiando girò la 155 in testa coda e via di nuovo da dove erano venuti. Ma da dove erano venuti c’erano altre tre macchine dei Caramba a dargli dietro. In testa la volante guidata da Antonio che, come vide l’Alfa 155 arrivare in fondo al curvone, manovrò con il freno a mano per mettere la Punto di servizio di traverso con dietro i colleghi a inchiodare per non travolgerli.
Mimmo smadonnò in siculo, incazzato perché quanto lo faceva incazzare Antonio che si metteva a fare il Tomas Milian di Roma a mano armata: “Suca minchia ma dove corri, vuoi arrivare primo?”. Gli urlava rabbioso. “Fottiti Tonì” e via di questo passo, mentre uscivano dalla macchina con le pistole in mano. Le due macchine dei colleghi si misero di fianco chiudendo la strada. Tutti con il cannone puntato sull’Alfa che arrivava a mille.
Elvis al volante non sapeva più che cazzo fare. Pensava a una sola cosa: siamo fottuti. Davis e Stefano non pervenuti. Wainer non avrebbe mai mollato. Non voleva essere un perdente, anche se la vita l’aveva messo dalla parte sbagliata dello spazzolone del cesso: quella che scrosta la merda dal water.
Elvis frenò di botto e dopo che le ruote ciularono per una decina di metri, lasciano il segnone per terra la macchina si fermò a cento metri dai Caramba. A quel punto scesero tutti per darsi. I Carabinieri si misero a urlare: “Fermi o spariamo”. Mentre dall’altra parte arrivavano i colleghi di Comacchio. Ma la banda di balordi via verso un frammento di pineta al di là del canale di scolo, con un duecento metri di scoperto di un vasto campo stepposo.
Mimmo già con i coglioni fumanti sparò in aria urlando: “Stronzi figli di buttana fermatevi o v’ammazzo”. Ma quelli col piffero. Mimmo allora gli sparò per davvero. Wainer che urlava mentre andava come una saetta: “Sparano solo in aria solo in aria, via via che non ci prendono sono solo delle merde solo merda”.
Antonio corse fino al ciglio della strada, si fermò con il ginocchio a terra. PAM. Già come un birillo Stefano, che si mise a urlare come un pazzo mentre ruzzolava e si teneva la gamba con delle bestemmie da tirare giù il cielo.
Figuriamoci Davis e Elvis. Si fermarono pietrificati e con le mani su. Mimmo arrivò al fianco di Antonio: “Ora tienili sotto tiro” e gridò: “Suca minchia del cazzo su le mani figli di buttana”. Gli altri Carabinieri, armi in pugno, si stavano avvicinando lentamente.
Wainer dava ancora le spalle ai Caramba, ma si era fermato anche lui. Vide con la coda dell’occhio Elvis, che stava a un passo dietro lui, fermo con le mani alzate. Cominciò a girare e di trequarti sbirciò Davis con le mani alzate mentre da dietro gli arrivavano gli urli e le madonne in dialetto di Stefano. Davis aveva capito tutto: “E’ finita Wainer”. Ringhiava quasi. “Molla Wainer, molla non fare il patacca”. E giù in dialetto una bestemmia fra i denti: “Ci ammazzano come dei maiali, non fare il pistolero”.
Wainer mentre completava il giro strinse il ferro che quasi le nocche divennero bianche.
Una canzone per te … Non te l’aspettavi eh!, e invece eccola qua …
Mimmo senza esitare esplose un colpo verso Wainer. PAM. Fuori bersaglio. Antonio rimase un attimo esitante il tempo di far prendere la mira a Wainer, ora completamente girato, e con il braccio teso.
Sorridi e abbassi gli occhi un istante e dici: “non credo di essere così importante” ma dici una bugia e infatti scappi via …
PAM PAM PAM. Mimmo viene giù, ribaltato all’indietro, secco con un buco alla gola. La carotide recisa buttò fuori fiotti di sangue mentre le gambe si muovevano a scosse. I colleghi si buttarono a terra terrorizzati. Davis idem. PAM PAM PAM PAM PAM PAM PAM. Una gragnuola di colpi di Antonio.
Non aveva i soldi per il regalo di Natale per Silvia, per la piccola Giorgia. Voleva che sua figlia avesse tutto quello che lui non aveva avuto, a cominciare dalla sua cameretta, come tutti gli altri bambini. Voleva portare Silvia a cena fuori, in un posto come si deve. Una serata come doveva sempre essere. Il grano per un anello di brillanti e una macchina nuova. Basta girare con la Uno Sting che ormai neanche più i senegalesi. Che cosa pensava la sua Giorgia di suo padre?
Nelle orecchie insieme al sangue, sugli occhi che colava, aveva, per un istante, un breve istante, il suo ultimo istante di vita, la loro canzone d’amore, sua e di Silvia.
Ma le canzoni
                               Son come i fiori
                                                               Nascon da sole
                                                                                              E son come i sogni

E a noi non resta
                               Che scriverle in fretta
                                                                       Perché poi svaniscono
                                                                                                            E non si ricordano più.

2 commenti:

  1. che bellaaaaaa :-)
    sai il tuo blog è molto bello, da oggi hai una nuova follower, se ti va passa da me e seguimi:
    http://mylovelyworld9.blogspot.com

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